samedi 10 octobre 2015

Politica estera 1

Il debole della politica estera italiana

La politica estera si basa su tre pilastri fondamentali: la diplomazia (l'arte del convincere qualcuno), la cooperazione internazionale allo sviluppo (la carota della diplomazia) ed infine le forze armate (il bastone della diplomazia). Alcide de Gasperi dette un esempio ammirabile della pura arte diplomatica di un ministro che, appena uscito dalla guerra, non aveva nulla su cui appoggiarsi. Correva l'anno 1946 alla Conferenza di pace di Parigi

Dagli anni 60' sino agli anni 2000, l'Italia poteva contare su una cooperazione internazionale allo sviluppo dotata di budget astronomici e di forze armate di tutto rispetto. A questo si aggiungeva il dialogo continuo con il Vaticano, che forniva all'Italia uno spessore di Universalità che altrimenti non avrebbe avuto. Come stanno le cose ora? Cominciamo a descrivere la situazione dellla carota, poi del bastone. 

Gli impegni operativi internazionali della difesa

Questi sono gli impegni operativi aggiornati al 2014 ( Documento presentato al parlamento dal Ministro della Difesa). 

Come si nota la missione più numerosa è l'Afghanistan con 1872 effettivi impiegati in quell'area. Poi arriva la missione in Libano 1110 effettivi, il Kosovo con 555 effettivi, la Somalia con 232 effettivi. Mentre possiamo ritenere che il Libano, il Kosovo e la Somalia riguardano da vicino la politica estera italiana, questo non è il caso per l'Afghanistan. Tra l'altro la missione in Afghanistan è stata ridotta ad un mero supporto logistico delle alre forze armate. 

La tabella sotto  mostra  un paio di cose importanti: 
  • In rapporto ai costi annuali della difesa, il costo totale di tutte le missioni all'estero (500 milioni €) è poca cosa rispetto al bilancio della difesa ( 14 miliardi di €), circa 3.5%. Ma non è questo il problema. 
  • La maggiore riduzione in bilancio ltra il 2014 ed il 2015 lo si è avuto sugli investimenti (-28%). La quantità degli investimenti si riduce ulteriormente nel biennio 2016-2017 rappresentando una complessiva riduzione del 40% nel 2017 comparato al 2014. Se prima era importante selezionare bene gli investimenti, ora lo sarà ancora di più. Rischiamo di avere meno armi di qualità e quindi meno efficacia d'attacco e di protezione. E su questo punto ne parleremo ancora in prossimi articoli. 



La tabella sotto  mostra che a fronte di una spesa militare che si sta contraendo ( gli effettivi devono passare da 190.000 del 2015 a 150.000 nel 2017, bisogna concetrarsi su quanto è strategico per l'Italia.  Non possiamo permetterci di disperdere le nostre poche risorse su quanto non è strategico.  

Conclusioni difesa

In conclusione rischiamo di avere meno staff militare con un equipaggiamento più scarso e quindi meno incisivi in fase d'attacco e di difesa. In più i nostri militari sono troppo dispersi in varie missioni per il mondo di cui alcune di esse non sono prevalenti per la legittima difesa degli interessi italiani (leggasi Afghanistan).

Se poi ci raffrontiamo ai nostri partner, ci rendiamo conto di avere un budget della difesa che è almeno la metà di quella di Francia, Germania ed Inghilterra. In queste condizioni, vale il principio della concentrazioni di sforzi. 

Se vogliamo essere competitivi, dobbiamo quindi concentrare le nostre poche risorse su 3-4 Missioni: la Somalia, la Libia, il Libano ed il Kosovo. Chiudere le missioni che non forniscono un diretto supporto alla difesa dei legittimi interessi italiani. Dobbiamo inoltre diventare più selettivi negli investimenti per salvaguardare l'efficacia dei nostri militari sia in fase di attacco che di difesa. 

La cooperazione italiana  allo sviluppo dei paesi poveri

L’Italia ha destinato in aiuto pubblico allo sviluppo 3,4 miliardi di $ nel 2013, pari allo 0,17 per cento del proprio Pil e al 2,5 per cento del totale dei paesi donatori. Al contrario della media degli altri paesi donatori, la maggior parte dell’aiuto italiano raggiunge i paesi beneficiari tramite il canale multilaterale: oltre il settanta per cento (2.4 miliardi di $), infatti, consiste in fondi girati dal governo italiano alle istituzioni internazionali, specialmente all’Unione europea. L’Italia è il quarto maggior contribuente al budget della cooperazione allo sviluppo comunitaria dopo Germania, Francia e Regno Unito. Per la parte bilaterale, cioè di rapporti diretti fra il governo italiano e i paesi riceventi, una parte consistente degli 850 milioni di dollari totali è data dall’assistenza ai rifugiati in Italia, pari a 403 milioni. La cancellazione del debito ai paesi beneficiari, anche questa considerata parte dell’aiuto pubblico allo sviluppo, si è ridotta a poco più di tre milioni di dollari ma nel 2011 era un’altra delle voci più «pesanti»: 648 milioni, il 37% del totale. Tentiamo un’analisi di questo quadro. L’Italia ha certamente fatto passi avanti nel dare credibilità al proprio impegno per lo sviluppo. Come conferma l’esame effettuato dall’Ocse nel 2014, il nostro paese ha invertito la tendenza aumentando il volume dell’aiuto. Ma la limitatezza del canale bilaterale dà l’impressione di un paese al traino, che non ha una propria strategia chiara e si affida più alle agenzie multilaterali che a una propria pianificazione diretta con i paesi beneficiari. Non solo. Assistenza ai rifugiati e cancellazione del debito sono certamente voci fondamentali, tanto più che la seconda vincola in teoria i paesi altamente indebitati a impegnarsi in politiche di riduzione della povertà in cambio della cancellazione. Ma, come sottolineava lo scorso giugno il consigliere del Ministero degli esteri Iacopo Viciani, «in passato varie Ong, da ActionAid alla piattaforma Concord, avevano contestato che le operazioni di cancellazione del debito o le spese per sensibilizzare il pubblico ai problemi dello sviluppo globale o quelle per accogliere i rifugiati nel paese donatore o le spese amministrative e di gestione dei progetti fossero registrate come Aps. Non costituirebbero infatti un trasferimento effettivo di risorse al paese». Sarebbe, cioè, una forma di aiuto «passiva» non in grado di incidere sulle cause della povertà e non basata su una effettiva concertazione fra paesi donatori e beneficiari per individuare e realizzare interventi che portino ad esempio a un miglioramento dei sistemi sanitari ed educativi, a un potenziamento delle infrastrutture, a un rafforzamento del tessuto economico dei paesi che ricevono i flussi di aiuti. In Italia, riporta l’esame (peer review) Ocse 2014, il settanta per cento dell’aiuto pubblico allo sviluppo è gestito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e riguarda la cooperazione multilaterale, mentre al Ministero per gli affari esteri e la cooperazione internazionale (Maeci), che si occupa di cooperazione bilaterale compresi i finanziamenti a dono, resta un dieci-quindici per cento (tra i 340 ed i 530 milioni di $), il resto essendo gestito dalla Presidenza del Consiglio e da altri enti, fra cui le amministrazioni locali. 

Per quanto riguarda la cooperazione internazionale dello sviluppo, bisogna anche verificare per quale motivo sia gestita dal MEF invece che dal ministero degli esteri. Vi sono eventualmente vantaggi a fornire il 70% dei nostri fondi all'Unione Europea tramite il MEF? Che rapporto c'è inoltre tra fondi pubblici della cooperazione internazionale, imprese private ed ONG? Ricordandoci i tempi di De Michelis (PSI) abbiamo paura che le risposte non saranno tanto piacevoli....

La situazione dei notri diplomatici e del minitro degli Esteri Gentiloni

Come si capisce bene i nostri diplomatici non possono fare altro che larghi sorrisi, ma non hanno un retroterra che gli permetta di essere credibili quando promettono o minacciano. Non possiamo dire di essere forti nella cooperazione perchè il Ministero degli Esteri gestisce solo le briciole della cooperazione, e non possiamo nemmeno dire che facciamo paura perchè le nostre forze sono poche e ben disperse. 
Con questo livello di investimenti italiani direttamente gestiti dalla UE, noi abbiamo di fatto delegato la funzione di politica estera alla UE. 

Che fare? 

A fronte degli schiaffi internazionali che l'Italia ha subito recentemente la strategia della difesa che della cooperazione internazionale vanno cambiate:
  •  Per la difesa 
    • Bisogna selezionare meglio gli investimenti per mantenere un livello di efficacia accettabile per i nostri militari sia in fase di difesa che di attacco. 
    • Bisogna incrementare gli investimenti eventualmente riducendo ulteriormente il personale e tagliando programi inefficaci (leggasi l'acquisizione di F35)
    • Disimpegnarci dall'Afghanistan e fare tornare i nostri ragazzi a casa perchè prima o poi potrebbero essere utili in Liibia
  • Per la cooperazione internazionale dello sviluppo:
    • Ridurre la contribuzione italiana alla UE dal 70 al 30% (non oltre 1 miliardo di $)
    • Fornire al ministero degli esteri un budget di tutto riguardo ( circa 1,8 miliardi di €)